Mutui alla francese, il Tribunale di Roma tra questioni sollevate (ma non risolte) e principi non condivisibili

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Con una sentenza che in pochi giorni è divenuta molto popolare tra gli addetti ai lavori – la n.2188 dell’08.02.2021 – il Tribunale di Roma ha trattato alcuni temi riconnessi alla oramai annosa questione concernente i mutui con piano di ammortamento alla francese.

Chiarito, in premessa, che il Giudice romano ha confermato – come da orientamento che oramai va consolidandosi – che un piano di ammortamento alla francese può essere elaborato tanto in regime di capitalizzazione composta che di capitalizzazione semplice degli interessi e che a ciascun regime corrisponde un diverso importo della rata, la principale questione affrontata dal Magistrato (e per la quale la pronuncia ha avuto immediatamente grande risonanza) attiene alla modalità di computo del TEG – ai fini delle verifiche in tema di usura – di un contratto di mutuo che preveda l’adozione del regime composto.

Atteso, difatti, che la rata determinata in regime composto è maggiore di quella liquidata in regime semplice degli interessi, la sentenza in commento sancisce – mediante richiamo all’art.644 c.p. – la necessità di ricomprendere, nel computo del TEG del rapporto, il “costo occulto” discendente dall’applicazione del regime finanziario composto degli interessi, in luogo di quello semplice.

Dal punto di vista tecnico-contabile, secondo il Magistrato nel TEG va ricompresa anche la differenza tra la rata determinata in regime composto degli interessi e quella – chiaramente di minore importo – calcolata, di contro, adottando il criterio della capitalizzazione semplice.

Tale metodologia, impiegata dal CTU incaricato e condivisa dal Giudice, ha indotto il Tribunale ad accertare il carattere usurario del contratto.

Il principio, sancito dal Tribunale di Roma, della necessaria inclusione nel TEG del “costo occulto” derivante dal regime composto degli interessi – principio che rischia di alimentare ulteriormente un contenzioso che già oggi appare di dimensioni significative – a parere dello scrivente è del tutto infondato e va recisamente contestato proprio sotto il profilo tecnico-contabile.

Sul punto va infatti chiarito che il processo di attualizzazione su cui si fonda la formula per il calcolo del TEG dettata dalla Banca d’Italia già ricomprende l’effetto della capitalizzazione composta: se al ridetto processo di attualizzazione si assoggettasse pure la differenza tra la rata pattuita e quella ricalcolata in regime semplice si determinerebbe una ingiustificata duplicazione del costo dovuto alla capitalizzazione – con conseguente, e quasi inevitabile, determinazione di un TEG superiore alla soglia d’usura – considerando, peraltro, che gli interessi ricompresi nella rata determinata in regime semplice sono già la derivazione di un processo di attualizzazione.

A fortiori, è necessario rammentare che: a) l’effetto della capitalizzazione composta infrannuale usualmente adottata dalla banca per la determinazione della rata di rimborso del mutuo è misurato, in termini di tasso di interesse, dalla differenza tra il saggio nominale annuo (TAN) impiegato per l’elaborazione del piano di ammortamento ed il tasso annuo effettivo (TAE) del rapporto; b) il TAE è notoriamente ricompreso nel TAEG del rapporto, parametro – quest’ultimo – sostanzialmente equivalente al TEG determinato ex legge n.108/1996.

Prese le distanze dal suddetto principio per nulla condivisibile, alcuni passaggi della sentenza in commento meritano comunque attenzione.

In primo luogo, il Magistrato romano, pur escludendo la ricorrenza di anatocismo nei mutui alla francese, ha tuttavia osservato che “la capitalizzazione composta determina un maggior debito per interessi nella stessa misura degli interessi anatocistici, ma senza che ciò derivi dal fenomeno anatocistico contemplato dall’art.1283 c.c.”.

Il Giudice ha quindi aggiunto che “in tal caso, infatti, la maggiorazione degli interessi è riconducibile esclusivamente al regime finanziario di capitalizzazione composta utilizzato dalla banca per la determinazione della rata e non alla produzione di interessi su interessi scaduti”.

La pronuncia in esame ha dunque il pregio di chiarire che i concetti di anatocismo e capitalizzazione composta, ancorché giuridicamente distinti, possono assumere la medesima espressione contabile, circostanza che induce molti a sovrapporre i due concetti fino al punto di affermare – non correttamente – che non essendoci anatocismo nei piani di ammortamento di un mutuo (i cui interessi sono sempre ed unicamente calcolati sul debito via via residuo) non vi può essere neppure capitalizzazione composta.

Tuttavia la sentenza non si esprime sui potenziali profili di illegittimità ravvisabili in un contratto di mutuo in cui non venga esplicitato il regime – generalmente composto – impiegato dalla banca per la determinazione della rata d’ammortamento, considerando le ulteriori questioni assorbite dall’accertamento del carattere usurario del rapporto.

Ed infatti il Giudice si limita ad osservare che “l’applicazione nel calcolo del piano di ammortamento (alla francese) di un tasso composto pone innanzitutto il problema della necessità di un’espressa approvazione da parte del mutuatario, del regime finanziario composto in sostituzione di quello semplice, ovvero se tale regime possa ritenersi tacitamente approvato dal mutuatario una volta conosciuto l’importo delle rate costanti attraverso le quali dovrà avvenire il rimborso graduale del capitale e degli interessi corrispettivi”, senza fornire alcuna risposta all’interrogativo posto. Chi scrive ritiene sommessamente che anche ai contratti di mutuo – in quanto costituenti, senza dubbio, “operazioni di esercizio del credito” – debba applicarsi l’art.6 della delibera CICR del 9 febbraio 2000, a tenore del quale “le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto” (invero, la ridetta disposizione chiarisce anche che “nei casi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione”).

Parimenti evasiva appare la pronuncia in commento in merito alla possibile violazione delle norme in tema di trasparenza bancaria. In tal caso il Magistrato, pur ritenendo che nei contratti di mutuo l’adozione del regime composto degli interessi “potrebbe comportare, in caso di mancata pattuizione del regime finanziario della capitalizzazione composta, anche la violazione dell’art.117 TUB, che impone, a pena di nullità, di indicare per iscritto nei contratti bancari il tasso d’interesse applicato e ogni altro prezzo e condizione praticati”, non risolve la questione, evitando di prendere una chiara posizione al riguardo

Anche su tale ultimo tema, lo scrivente, in qualità di studioso della materia, ritiene di dover esprimere la propria opinione. L’oramai accertata possibilità di elaborare un piano di ammortamento alla francese secondo un duplice regime – composto ovvero semplice – conferisce al regime finanziario stesso natura di “condizione economica” essenziale del rapporto che, in quanto tale, non può che trovare esplicitazione in contratto ex art.117, quarto comma, TUB.

A prescindere dalla mancanza di chiarezza su alcune importanti questioni sollevate, la pronuncia in oggetto – che si aggiunge ad altre sentenze di pari tenore – consente tuttavia di comprendere che a parità di condizioni contrattuali (importo finanziato, durata del finanziamento, numero di rate e tasso d’interesse nominale) è possibile ammortizzare un finanziamento adottando due distinti regimi: quello composto, cui corrisponderà una rata maggiore ed un maggiore monte interessi e quello semplice, di contro caratterizzato da una rata di importo inferiore e da un minore monte interessi complessivo.