Con sentenza dello scorso 13 luglio, il Tribunale di Milano, nella persona del dr. Francesco Ferrari, si è espresso sui più rilevanti temi usualmente trattati nei giudizi tra banche e correntisti.
Tra essi due meritano di essere richiamati per le acute argomentazioni di un Magistrato molto esperto in tale ambito.
Il primo concerne la capitalizzazione trimestrale per il periodo successivo al giugno 2000; il secondo riguarda l’eccezione di prescrizione.
In ordine al primo tema, la sentenza spicca per essersi motivatamente discostata dalle pronunce della Corte di Cassazione, oramai numerose, secondo le quali sarebbe invalido l’adeguamento alla delibera CICR del 9 febbraio 2000 – in assenza di ricontrattualizzazione della clausola anatocistica – per i conti già esistenti all’atto della sua entrata in vigore.
In primo luogo, secondo il Magistrato la norma che consentiva l’adeguamento, al regime di reciprocità, dei contratti in corso al 22.04.2000 – epoca di entrata in vigore della delibera – non ricade nel vaglio di incostituzionalità del Giudice delle leggi espresso con sentenza n.425 del 17.10.2000.
Secondo il Giudicante lombardo, difatti, la Corte Costituzionale avrebbe inteso sanzionare unicamente quella parte dell’art. 25, comma terzo, decreto legislativo n.342/1999 che prevedeva un criterio di sanatoria per la capitalizzazione trimestrale non reciproca praticata dalle banche sino al 21.04.2000, e non anche la norma di adeguamento automatico dei contratti in corso per il periodo successivo al 22.04.2000.
Chiarissima, sul punto, l’argomentazione del Tribunale di Milano, secondo cui “il giudice delle leggi, nell’affermare l’incostituzionalità della norma di delega nella sua interezza (e non in una sola parte), precisa che essa, “da un lato sancisce una generale sanatoria delle clausole anatocistiche illegittime contenute nei contratti bancari anteriori al 19.10.99, con effetti temporalmente limitati sino al 22.4.2000 (data di entrata in vigore della CICR), e dall’altro attribuisce, sia pure nell’identico limite temporale, la stessa indiscriminata validità ed efficacia alle clausole poste in essere tra il 19.10.99 e il 21.4.2000””.
In sostanza, secondo il Giudicante, “con tale statuizione la Corte si sofferma solo su quella parte dell’art. 25 c. 3 che prevede una sanatoria totale per il passato (“le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci sino a tale data”), senza mostrare di argomentare con riguardo alla seconda parte della norma, che prevede una sanatoria condizionata per il futuro”.
Superato il profilo di incostituzionalità della legge delega, il Magistrato ha espresso aperto dissenso verso le oramai molteplici pronunce della Corte di Cassazione secondo le quali il passaggio al regime di reciprocità dei conti in essere al 30.06.2000 avrebbe richiesto necessariamente l’accettazione del correntista, trattandosi – a detta della Corte – di modifica sempre peggiorativa per il cliente.
Secondo il Tribunale di Milano, difatti, diversamente da quanto argomentato dagli ermellini, il passaggio da un criterio di non reciprocità alla capitalizzazione trimestrale paritetica deve intendersi, necessariamente, quale modifica migliorativa per il correntista.
Al riguardo è stato osservato che l’art.7 della delibera CICR del 2000, nel prevedere che l’adeguamento mediante pubblicazione in G.U. (senza rinegoziazione della clausola anatocistica) fosse valido in caso di modifica favorevole per il correntista, ha espressamente fatto riferimento –quale termine di raffronto – “alle condizioni precedentemente applicate”. Secondo il Tribunale di Milano, “va ribadito come la valutazione del carattere favorevole o meno dell’adeguamento deve essere condotta con riferimento alle condizioni precedentemente applicate, a prescindere dal fatto che queste ultime fossero condotte in forza di una clausola suscettibile di essere successivamente dichiarata nulla, in quanto il raffronto va condotto per scelta tecnica del legislatore secondario in ragione del meccanismo di capitalizzazione prescelto e non in considerazione di una valutazione giuridica della clausola pattuita”.
Di talché, il passaggio da un regime in cui la capitalizzazione era trimestrale per gli interessi debitori ed annuale per quelli creditori ad un regime di capitalizzazione trimestrale paritetica sarebbe necessariamente favorevole al correntista. Dunque, l’adeguamento ex art.7 della delibera CICR sarebbe legittimo.
Chiarito quanto innanzi, secondo il Magistrato “le circostanze che il conto corrente di volta in volta considerato sia sempre stato a debito per il correntista e, quindi, non abbia mai prodotto interessi creditori, piuttosto che la sproporzione con cui sono stati pattuiti i tassi degli interessi creditori e debitori, tale di fatto da far sì che non si producano effetti contabili sensibili a vantaggio del correntista per effetto della riduzione del periodo di capitalizzazione degli interessi a suo favore, sono tutte considerazioni che operano su un piano degli effetti contabili della modifica contrattuale”, ma di nessuna rilevanza sul piano giuridico.
Peraltro, secondo il Tribunale lombardo, neppure rileva l’eventuale mancata comunicazione al correntista, entro il 31.12.2000, dell’avvenuto adeguamento al nuovo regime. Trattasi, secondo il Giudice, di adempimento “la cui omissione (o mancata prova di ottemperanza) assume rilievo al più in una prospettiva di violazione degli obblighi in materia di trasparenza bancaria e, quindi, di inadempimento degli obblighi informativi, con ipotetica pretesa risarcitoria, senza influire sulla validità ed efficacia dell’adeguamento contrattuale, rispetto al quale si colloca in una dimensione di mera irritualità”.
Sempre in tema di anatocismo, passando ad esaminare la novella del 2013, il Tribunale di Milano, in aderenza alle antesignane ordinanze del 2015 del medesimo Tribunale (nel cui collegio figurava anche il dr. Ferrari), ha ribadito che il divieto assoluto introdotto a decorrere dall’01.01.2014 era immediatamente vigente, non necessitando dell’intervento del CICR, cui il riscritto art.120 TUB affidò il compito di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.
La seconda questione affrontata dalla sentenza in commento concerne l’eccezione di prescrizione.
Va immediatamente chiarito che, secondo il Magistrato milanese, l’eccezione di prescrizione spiegata dalla banca è sempre sostanzialmente inoperante.
Il Giudice, per illustrare il proprio percorso argomentativo, ha preso le mosse dall’ordinanza n.9141/2020 della Cassazione, secondo cui sarebbero pagabili – dunque soggetti a prescrizione – unicamente gli interessi indebiti maturati sull’extra-fido.
Di contro, gli interessi maturati nell’ambito dell’apertura di credito, al pari del capitale concesso dalla banca, non sarebbero esigibili se non alla chiusura del rapporto e dunque sfuggirebbero alla prescrizione.
Partendo da tale assunto, il Giudice ha chiarito che, a ben vedere e contrariamente a quanto indicato dagli ermellini, neppure gli interessi maturati sull’extra-fido sarebbero esigibili.
A tale conclusione il Magistrato giunge dacché “l’utilizzo da parte del cliente di somme eccedenti il limite dell’affidamento, infatti, non avviene al di fuori di una qualsiasi disciplina negoziale, ma opera comunque nella cornice del rapporto di conto corrente sottostante, con l’effetto che per tale esubero non potranno trovare applicazione le condizioni economiche pattuite dalle parti con il fido, ma saranno addebitati i maggiori interessi di scoperto, al pari di quanto avviene in caso di saldo debitorio in un conto corrente semplice, ossia non affidato”.
Partendo da tale assunto, il Magistrato ha chiarito che “il presupposto dell’esigibilità del credito relativo al capitale utilizzato ultra-fido e dei relativi interessi, necessario per giustificare la stessa distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie, collide insanabilmente con l’art. 1852 c.c., il quale, derogando per il conto corrente bancario al disposto di cui all’art. 1823 c.c. per il conto corrente in generale, esclude l’esigibilità del saldo creditorio per l’istituto di credito sino alla chiusura del rapporto di conto corrente.Ne discende che in costanza di rapporto di conto corrente, non potendo configurarsi un credito esigibile per la banca neppure con riferimento al capitale e agli interessi ultra-fido, non possa mai riscontrarsi una rimessa solutoria, idonea a far decorrere il termine prescrizionale dalla data della sua annotazione. La rimessa effettuata dal correntista successivamente a uno scoperto di conto corrente, infatti, opererà quale mera annotazione in conto, destinata a concorrere alla formazione del saldo finale alla data di chiusura del rapporto; nel frattempo, essa non può implicare alcun pagamento, non essendo esigibile da parte della banca il saldo provvisorio del conto, a prescindere da qualsiasi distinzione tra addebiti intra-fido e ultra-fido. Né tali considerazioni potrebbero essere superate in forza dell’art. 1845 c.c., il quale prevede per la banca l’esigibilità del saldo derivante da una apertura di credito, in seguito al recesso operato dall’istituto di credito: la norma, infatti, disciplina il contratto di apertura di credito bancario per così dire puro, ma se le parti, come normalmente avviene, convengano una apertura di credito in conto corrente, al recesso dall’affidamento non conseguirà l’esigibilità del credito dell’istituto bancario, ma semplicemente deriverà l’effetto che il cliente non potrà ulteriormente utilizzare le somme messe a sua disposizione e che l’eventuale importo già utilizzato e non ancora restituito, continuerà a costituire oggetto di una annotazione in conto corrente, il cui saldo sarà esigibile solo dopo il recesso da tale rapporto”.
In ultimo, il Magistrato ha specificato che “tali considerazioni, inoltre, per forza di cose si estendono a qualsiasi addebito illegittimo operato in conto corrente, non giustificando un differente trattamento a seconda che l’indebito riguardi interessi piuttosto che oneri o competenze di altra natura”.
Richiamati gli aspetti più interessanti della recente pronuncia del Tribunale di Milano, non resta che fare un’ultima considerazione in ordine al concetto di “inesigibilità” illustrato dal Magistrato: volendo condividere le conclusioni del dr. Ferrari, deve ritenersi che la banca, revocata la linea di credito, non possa pretendere che il correntista – né i suoi garanti – ripiani l’esposizione debitoria, salvo che non comunichi il recesso dal sottostante contratto di conto corrente. Resta inteso, ovviamente, che sull’esposizione debitoria in assenza di fido la banca potrà pretendere il pagamento di interessi liquidati al saggio previsto per il conto corrente, saggio generalmente ben superiore a quello praticato sull’apertura di credito. Inoltre, in ipotesi di mancato ripianamento dell’esposizione debitoria, il correntista sarà soggetto anche all’iscrizione in centrale rischi per l’utilizzo di fondi della banca in assenza di affidamento.
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